Come anticipare il cambiamento sul lavoro

le nuove sfide a cui stanno andando incontro le aziende con questa nuova seconda ondata dal punto di vista dell’organizzazione del personale, smart working.
Cambiamento lavoro

Argomenti della nuova puntata di Doppio Binario andata in onda su Le Fonti TV: lavoro, diritto del lavoro, le nuove sfide a cui stanno andando incontro le aziende con questa nuova seconda ondata dal punto di vista dell’organizzazione del personale, smart working. Se ne è parlato nella prima parte con Francesco Amendolito, Avvocato Giuslavorista Founder Amendolito & Associati e docente di diritto del lavoro dell’Università Lum di Bari e Gabriella Fraire, Insurance Manager Prysmian Group e membro del consiglio direttivo di Anra.

Quali strumenti hanno a disposizione le aziende per non farsi trovare impreparate?
Francesco Amendolito. Per gestire questo cambiamento e questa fase di crisi che stiamo attraversando è necessario più di tutto che il cambiamento sia parte direttamente dal legislatore, cosa che in realtà da tempo soprattutto noi che stiamo intorno al mondo aziendale, non stiamo molto notando.
Purtroppo gli strumenti non sono tantissimi, quest’ultimo Dpcm parlo del decreto e parlo e mi riferisco anche al Decreto Ristori, non ha dato tante garanzie in questo senso alle organizzazioni aziendali perché per cui sappiamo che per esempio la cassa integrazione non sarà disponibile per tutte le aziende. Sono state individuate le aziende che potranno ottenere delle integrazioni salariali per i dipendenti e nonostante questo e rispetto alla portata dell’istituto della cassa integrazione lo stato ha continuato con questo blocco, questo stop ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo quindi tranne per alcuni casi residuali ma che comunque non danno spazio ad aziende che hanno comunque la gestione degli esuberi perché comunque la crisi è sempre più incalzante e si ritrovano, io la vedo come una sorta di scarica barile. In questo senso gli strumenti che invece in un’ottica positiva possono essere utilizzati dalle aziende sono oltre a quello che diciamo prima di questa pandemia era considerato una sorta di cenerentola tra gli istituti lavoristici e cioè lo smart working, in oltre quindi all’utilizzo da dove è possibile che uno dello strumento smart working.
Credo molto utile un approccio anche sotto il profilo intellettuale quindi delle relazioni sindacali, delle relazioni industriali nelle aziende. Nell’utilizzo del derby contratti di prossimità che possono in ottica di deroga alla normativa nazionale andare a affinare a in un’ottica sartoriale a consentire alle aziende di gestire questo cambiamento queste questa crisi di concerto con le rappresentanze sindacali.

Come avete monitorato l’utilizzo dello smart working da parte dei vostri iscritti sia nel corso ma anche nel post lockdown cosa è emerso?
Gabriella Fraire. Innanzitutto Anra che è l’associazione nazionale dei risk manager e responsabili delle assicurazioni aziendali ha condotto due indagini: la prima nel periodo compreso tra il 6 e 16 di maggio, alla fine del periodo della fase 1 e una seconda indagine tra fine luglio e inizio settembre quindi a fine del periodo del primo periodo di lockdown. Presenteremo questa seconda indagine la prossima settimana, quindi un po più di dettaglio con un webinar organizzato proprio da Anra e per chi fosse interessato a partecipare vi invito a ad iscriversi sul nostro sito web.
Nei mesi di fase acuta dell’emergenza durante il periodo del lockdown aziende e professionisti hanno sperimentato, come giustamente ha sottolineato l’avvocato prima, delle modalità lavorative frutto di un imposizione d’urgenza e quindi impropriamente definite smart working ma più correttamente riconducibili all’ambito del remote working. I risultati di questa della prima indagine che abbiamo condotto rilevavano come
problematiche più diffuse fossero quelle relative alla pianificazione e la gestione e il controllo delle attività, allo stato d’animo dei lavoratori, al senso di solitudine ed è stato rilevato come anche la mancanza di strumentazione idonea fosse uno dei problemi principali. Con la graduale riapertura delle attività nella cosiddetta fase due, la situazione si è andata normalizzando e per cui diciamo siamo riusciti a trasformare un esperimento emergenziale in un incubatore per una maggiore sostenibilità del lavoro. Quanto emerso restituisce anche una fotografia preziosa di come è cambiato l’approccio del tessuto imprenditoriale italiano alle modalità di lavoro alternativo, ma soprattutto ci lascia degli ampi spazi sulle tendenze che lo condizioneranno fortemente nel prossimo futuro. Il campione della ricerca è formato da all’incirca 900 rispondenti che appartengono maggiormente al settore rappresentato della finanza banche assicurazioni, a seguire consulenze e servizi professionali e quello industriale, considerato comunque una media di aziende 50% che supera i 50 milioni di fatturato. Siamo andati ad abbracciare più sfere lavorative diverse settoriali, diverse. Per comprendere come l’organizzazione aziendale si sia modificata nella fase due e quindi con quali modalità lavorative gli italiani abbiano operato tra maggio e settembre, abbiamo rilevato dalla risposte alla nostra indagine, che la percentuale maggiore ossia il 42%, ha continuato a lavorare completamente da remoto, anche nei mesi successivi al lockdown.
Se però gli italiani potessero strutturare liberamente l’organizzazione del proprio lavoro, almeno i nostri rispondenti ti hanno dato questo risultato, bilancerebbero la presenza in ufficio con il lavoro da remoto con due giornate a distanza e 3 sede oppure viceversa e quindi si può dire che abbiamo apprezzato i vantaggi di una maggiore flessibilità lavorativa e potendo scegliere un po’, tutti opterebbero per mantenere un’alternanza con una leggera prevalenza di giornate da remoto. Passando velocemente ai vantaggi e svantaggi, ci sono stati evidenziati dai nostri rispondenti, rispetto a quelle che sono un pò le tematiche emerse durante il periodo di lavoro da remoto. Tra i vantaggi la possibilità di gestire con più autonomia gli orari di lavoro e quindi il risparmio di tempo e maggiore equilibrio tra vita privata e professionale; passando agli svantaggi invece il primo è un dato molto importante: la difficoltà nel limitare le ore trascorse al lavoro e una mancanza di un ambiente adatto per lavorare, mentre nella prima indagine era stato rilevato come la mancanza di separazione tra ambiente di lavoro e ambiente domestico fosse più rilevante.

In che modo le aziende devono organizzarsi per far sì che questo strumento possa essere uno strumento poi più strutturato e possa essere utilizzato anche in un’ottica di medio lungo periodo?
Francesco Amendolito. La premessa è che lo smart working non è una nuova tipologia contrattuale, è una modalità differente di svolgimento dell’attività lavorativa, tant’è che molti non sanno o comunque fanno finta
di saperlo riconoscere che lo smart working può essere anche gestito e utilizzato all’interno della stessa azienda, delle strutture aziendali. Proprio in un’ottica di flessibilità, di gestione autonoma, ovviamente concordata col datore di lavoro da parte del lavoratore, del proprio orario di lavoro.
Si è parlato tantissimo dello smart working perché è diventato uno strumento utilissimo anche non soltanto per la gestione dell’evento pandemico, ma anche per dare alle organizzazioni aziendali quel respiro, quella flessibilità tanto agognata da molte aziende.
Diciamo che paradossalmente però rispetto a quella deroga normativa che il Governo ha effettuato, cioè laddove appunto ha previsto una deregulation perché ha dato la possibilità di gestire lo smart working senza un accordo specifico tra lavoratori ed azienda. Quella che è stata la mia esperienza nell’ambito delle aziende che seguo, invece un’inversione di rotta in questo senso cioè io ritengo che sia necessario invece dare una vera e propria regolamentazione, se si vuole fare di questo strumento uno strumento che da qui tutto il futuro. Speriamo quanto prima il venir meno di questa crisi pandemica, possa essere un vero e proprio strumento utilizzabile e foriero di uno sviluppo aziendale.
Importante e interessante perché il lavoratore di smart working o come diceva Gabriela Fraire, il lavoratore che lavora da remoto deve pure essere anche controllato nell’attività lavorativa, ci sono degli aspetti che riguardano un pò la sicurezza sul lavoro e quindi la gestione anche di quelle che sono le prassi e protocolli anti Covid-19 e dall’altro lato anche la possibilità di monitorare anche la produttività del lavoratore, le performance del lavoratore. Mi è capitato personalmente di assistere in alcune aziende di lavoratori che erano collegati appunto da remoto con il proprio desktop aziendale, però in realtà sono stati trovati in supermercati e fare la spesa. Uno strumento utilissimo per il futuro, però va gestito come una sorta di regolamentazione quindi il contrario di questa deregulation, invece prevista dalla norma emergenziale.

Lo strumento dello smart working ha mostrato che ci sono tantissime ancora criticità da superare. Come si stanno adoperando, sulla base della vostra indagine, i vostri iscritti, le aziende, per superare queste criticità?
Gabriella Fraire. Vorrei condividere il punto di partenza e quindi il dato pre emergenza Covid, dove solo il campione di 38% di aziende sull’intera popolazione attuasse misure di smart working effettivo, quindi di lavoro agile e la percentuale media di chi poteva usufruire di questo smartphone in realtà era molto più bassa, quindi un 32% dei lavoratori delle aziende che avevano in essere progetti di questo tipo. Tra i motivi dell’impedimento sicuramente del dell’utilizzo dello smart working prima dell’emergenza, numerosi sono stati riferimenti a una mancanza di cultura e quindi una
mancanza da parte del leader dell’azienda, perché ricordiamoci che la cultura di un’azienda è fatta in primis da coloro che creano la cultura aziendale e successivamente la diffondono. Lato interessante è che la conversione al lavoro da remoto in generale è stata ben recepita nel senso, è vero che le aziende si sono trovate a doverla mettere in campo obbligatoriamente ma è anche vero che hanno reagito molto velocemente a questa emergenza tanto che il 52% delle aziende nostre rispondenti sono convertite allo smart working immediatamente, il 29,4% in meno di una settimana e questo dato è molto importante. Ci fa sperare per il futuro e anche perché la nostra ricerca ha evidenziato anche che le aziende che hanno fatto ricorso allo smart working prevalentemente come soluzione di emergenza, l’hanno fatto inizialmente per garantire una continuità operativa senza aver adeguato quindi preventivamente i propri processi ad una forma di lavoro a distanza.
Con il secondo periodo, diciamo che questa obbligatorietà è diventata anche un po’ un’esigenza delle aziende di andare a capire quindi quello che fosse realmente il sentiment dei propri dipendenti rispetto a quella che può essere la una modalità operativa e soprattutto lavorativa che può essere
quella che verrà adottata nel futuro.
Ovvio che ci vuole dell’impegno da parte di tutti, da parte dell’azienda, da parte dei lavoratori, perché come diceva prima l’avvocato, l’azienda può darti più fiducia ma un lavoratore deve essere più responsabile e non si può pensare di essere più responsabili se dietro non c’è un’organizzazione che ti metta a disposizione tutti gli strumenti necessari a far sì che tu possa svolgere la tua attività e raggiungere i tuoi obiettivi se mancano dei processi strutturati.


Nella seconda parte di Doppio Binario si è continuato a parlare di lavoro, di cambiamento che tocca l’ambito del digitale ma non solo, un cambiamento che era in atto già prima dello scoppio di questa pandemia e che questa emergenza sanitaria ha reso ancora più urgente è più imminente. Si è parlato anche delle nuove sfide che hanno davanti le imprese dal punto di vista proprio dell’organizzazione del lavoro. Se ne è parlato con l’avvocato Francesco Amendolito, founder di Amendolito & Associati e docente di diritto del lavoro dell’Università Lum di Bari e con il dottor Clemente Perrone, VP Chief HR & Organization Officer di Sirti.

A suo avviso, come le imprese possono affrontare questa nuova
sfida che hanno intrapreso ormai da diverso tempo e che adesso diventa veramente cruciale?

Francesco Amendolito. Le imprese, le aziende, stavano affrontando come da lei notato questo cambiamento. Non si parlava di industria 4.0 e quindi la necessità di intervenire soprattutto in un’ottica di HR management sulle risorse umane, per agevolare e garantire nel miglior modo possibile questo cambiamento nell’organizzazione aziendale.
Oggi la pandemia come detto, ha accentuato e velocizzato questa necessità di intervento e nonostante gli strumenti legislativi a disposizione degli uffici HR aziendali, le organizzazioni si sono date da fare.
Nella prima parte abbiamo enfatizzato come lo smart working che
fino a ieri era considerata una cenerentola tra gli istituti giuslavoristici, oggi è diventato un argomento importante, interessante nella gestione risorse umane in azienda. Imprescindibile ovviamente per le aziende che possono gestire le organizzazioni con questo strumento, dipende dalle tipologie, dal settore merceologico delle aziende. Ovviamente le aziende manifatturiere non hanno facilità in tal senso anche se come come più volte da me ribadito lo smart working può essere utilizzato anche all’interno delle strutture aziendali quindi in un’ottica di flessibilità e quindi però ecco gli altri strumenti utili per affrontare questo cambiamento nell’organizzazione del lavoro ci sono e io l’ho sempre ribadito in ogni mia intervista.
L’utilizzo molto importante massiccio della cosiddetta contrattazione
collettiva aziendale, mi riferisco soprattutto i contratti di prossimità.
Attraverso questi contratti è possibile con l’aiuto intelligente e virtuoso delle organizzazioni sindacali, è possibile dare una ulteriore flessibilità all’organizzazione aziendale sia in un’ottica di orario, sia in un’ottica di deroga sotto il profilo retributivo perché in alcune aziende noi abbiamo operato per eliminare in questo momento di crisi la quattordicesima mensilità, utile in questo senso.
Poi arriviamo alla gestione delle risorse di quel capitale umano che tanto importante per l’azienda e cioè da un lato la gestione del clima e quindi questo enfatizzare sempre di più il cosiddetto work life balance e poi dare importanza a quelle che prima non erano considerate assolutamente nell’organizzazione di andare cioè sulle cosiddette soft skills e importantissimo ovviamente sempre di più una formazione professionale quindi l’ex killer skill sono comunque sempre importanti però le soft skills in questo momento di crisi anche psicologico all’interno delle aziende dei singoli lavoratori di ciascun lavoratore, far emergere quelle che sono le capacità personali del lavoratore, molto importante la capacità di
problem solving, team building, leadership eccetera eccetera.
Questo per dare un ulteriore apporto alle organizzazioni aziendali
rispetto alla quasi esistenza di norme moderne e interessanti da parte del legislatore.

Come state affrontando questa nuova emergenza?
Clemente Perrone. La nostra azienda è presente nel territorio nazionale da quasi 100 anni. A novembre 2021 tagliamo il traguardo del primo secolo a oltre 4.000 persone del territorio. Chiaro è, che gestire una situazione di questo tipo è per noi una sfida molto ambiziosa ancorché necessaria.
Abbiamo lavorato, stiamo lavorando dandoci un obiettivo: quello di rendere la nostra organizzazione anti fragile, capace di superare affrontare le varie fasi di questa situazione e abbiamo l’ambizione di lavoro del management e di tutte le nostre donne e uomini di restituire al termine di questo periodo un’organizzazione che sia migliore da molti punti di vista in termini di consapevolezza dell’approccio al digitale anche della cultura agile, perché ricordo che il lavoro agile non è prima di tutto un riorientamento verso l’obiettivo rispetto al task, è qualcosa di molto più profondo che deve essere radicato in una cultura organizzativa rispetto ad un ad un corpo normativo seppur ampio e con un suo costrutto.
Il nostro obiettivo è quello di accompagnare una fase di cambiamento enfatizzando anche gli aspetti. Aggiungo un altro tassello: l’elemento della comunicazione. Le aziende in questa fase devono essere ancora più brave a comunicare, mantenere e rafforzare un flusso costante di informazioni tra il top management a sé tutte le organizzazioni del territorio, identificare delle risorse degli spot, persone che siano in grado di identificare l’azienda sicuramente anche non dividere la comunicazione tra comunicazione interna ed e comunicazione esterna. Noi abbiamo fatto una campagna LinkedIn che abbiamo chiamato Sirti non si ferma, in cui ogni giorno diamo una voce ad un collega, una collega che fa il proprio lavoro in questo tipo di contesto e poi ovviamente lavoriamo anche in termini di consapevolezza dei team, ad esempio spingendo quello che è il coaching di gruppo. Abbiamo parlato di anti fragilità poi sono arrivato a parlare di comunicazione per rappresentare quello che un filo che deve soprattutto in questo tipo di situazioni, tenere ancora più unito il tessuto produttivo di un unico sistema quali ad esempio un’azienda.

Secondo lei, siamo di fronte possiamo essere di fronte a una nuova
Stagione?

Francesco Amendolito. Secondo me sì. Sto apprezzando tantissimo in questo periodo l’imprenditoria italiana, l’imprenditore italiano e lo stesso tempo sto apprezzando comunque anche un determinato cambiamento che non in tutte ma in parte delle organizzazioni Sindacali. Sto notando il paradosso che è questo: da un lato abbiamo le imprese che si reinventano, si organizzano anche in un’ottica creativa, tipica del proprio italiano; dall’altro lato abbiamo legislatore che come abbiamo accennato prima a mio modo di vedere, è tanti anni indietro rispetto al mercato del lavoro, rispetto al mercato economico. Basti pensare a quello che hanno fatto anche con l’ultimo Decreto Ristori sulla proroga dello stop ai licenziamenti, debito di licenziamenti. Il legislatore da un lato dice alle imprese che c’è un problema sociale di crisi legato alla crisi pandemica, i lavoratori te li devi tenere. Dall’altro lato riduce l’intervento della cassa integrazione. Oggi questa cassa integrazione non è di appannaggio di tutte le aziende, ma al di là di questo ci sono aziende che hanno per motivi organizzativi di sviluppo strategico industriale indipendentemente dalla crisi, cosi la necessità di una
ristrutturazione aziendale di un cambiamento quindi anche operando di licenziamenti però appunto con un intervento foriero di un cambiamento anche in un’ottica di sviluppo economico dell’azienda stessa.
Questo oggi non è possibile farlo, le aziende si inventano in base a quelle che sono gli strumenti a disposizione. Ecco perché oggi rimane come strumento utilizzabile dal datore di lavoro quello che appunto citavo prima e il contratto di prossimità un contratto collettivo aziendale che va ad erogare quelle che sono delle norme nazionali generali ma per fare questo c’è bisogno di dirigenza e della lungimiranza anche le organizzazioni sindacali.
Da un lato vedo questa positività in questi due attori cioè imprenditori da un lato e organizzazioni sindacali dall’altro però raggiungere un legislatore che è cieco di fronte a queste istanze di cambiamento il cambiamento non è dovuto a un capriccio dell’imprenditore.

Cosa si aspetta dal legislatore al di là del dell’innovazione della singola azienda della voglia di rinnovare c’è anche
bisogno poi di strumenti specifici.

Clemente Perrone. La mia riflessione verte principalmente su quello che poi è il pensiero sulle politiche attive. Mi piace sottolineare quello che è l’auspicato piano Marshall delle riconversioni che è il fondo nuove competenze, un oggetto al momento semi misterioso che pone l’enfasi su un plafond di investimenti superiore ai 750 milioni quindi qualche cosa di senza precedenti quantomeno nella storia recente delle nostre aziende che ha l’ambizione di diventare uno strumento per minuiti diciamo così minimizzare l’effetto anche di alcuni strumenti come ammortizzatori. Devo dire che stiamo attendendo con molta ansia le note operative dell’Anpal proprio perché dal nostro punto di vista la nostra prospettiva, la nostra un’azienda che lavora nelle infrastrutture, lavora di tecnologia il phasing phase out delle tecnologie pone la necessità di continui upgrade di carattere di competenze sui profili professionali. Oggi un nostro collega che entra in azienda l’abbandonerà per la pensione avendo cambiato dai sei ai sette mestieri. Da questo punto di vista in un concetto di continuo di improvement, anche a livello di competenza e di esperienza quello che è il ruolo dei fondi come quello che stiamo vedendo può giocare un ruolo determinante anche nel porre delle prospettive dal punto di vista occupazionale completamente diverso rispetto a risorse mestieri che oggi sono in una fase di criticità acuito dalla recente pandemia.

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