I dati di Eurostat sull’occupazione femminile in Italia dipingono un quadro infelice. Le madri lavoratrici sono state le prime a pagare le conseguenze della pandemia e della crisi che ne è conseguita. Quello italiano è un primato europeo infelice, in cui solo il 57,3% di donne con figli svolge allo stesso tempo anche una professione. Questa preoccupante tendenza riguarda anche altri Paesi. In Regno Unito, ad esempio, ogni anno circa 54.000 mamme sono costrette a lasciare il lavoro perché hanno un figlio, mentre i restanti tre quarti sono sollecitate a farlo e subiscono discriminazioni sul luogo di lavoro. L’emergenza sanitaria ha accentuato un fenomeno che era già ampiamente diffuso.
Una fotografia della situazione attuale in cui versano le lavoratrici-mamme l’ha fornita Silvia Sciorilli Borelli, corrispondente per il Financial Times. La giornalista ha pubblicato un libro dal titolo evocativo, L’età del cambiamento. Come diventare un Paese per giovani, legato al tema della conciliazione fra maternità e lavoro. In un capitolo del saggio, Vietato riprodursi, Borelli si interroga sulle modalità in cui l’Italia, un Paese con un tasso di natalità tra i più bassi della media dell’OCSE, sia totalmente sprovvista di infrastrutture sociali e forme di tutele che consentano a una giovane donna di affrontare la maternità e avere figli senza vivere con la costante apprensione di compromettere la sua carriera o, in casi peggiori, rischiare il licenziamento.
Madri lavoratrici, quali azioni concrete per migliorarne la condizione sociale
L’unica soluzione possibile è che dalle parole si passi ai fatti. Le aziende, soprattutto quelle più evolute, dovranno farsi carico di iniziative volte a migliorare le condizioni delle lavoratrici-mamme sul luogo di lavoro. Si potrebbe, ad esempio, cominciare dal congedo di paternità obbligatorio, che ad oggi è fissato ad appena 10 giorni. Un fattore che alimenta la separazione dei ruoli in famiglia. Altre azioni che vadano incontro a questo problema potrebbe essere la garanzia di una flessibilità degli orari di lavoro, senza perdere di vista gli obiettivi, o la costruzione, dove possibile, di asili nido all’interno delle aziende stesse. Questa pratica è ampiamente diffusa nei paesi del Nord Europa, dove l’attenzione alla maternità si incontra perfettamente con le esigenze di tutte quelle donne che abbiano anche aspirazioni di tipo lavorativo.