Le Grandi Dimissioni sono un fenomeno temporaneo? Il pensiero di Daniel Pink

La pandemia ha rivoluzionato il nostro modo di lavorare e ricercare un’armonia tra vita privata e lavoro. Questo ha portato al fenomeno della Great Resignation, cioè Grandi Dimissioni, che ha come epicentro gli Stati Uniti e le cui scosse di assestamento sono arrivate anche in Europa.

La pandemia ha rivoluzionato il nostro modo di lavorare e ricercare un’armonia tra vita privata e lavoro. Questo ha portato al fenomeno della Great Resignation, cioè Grandi Dimissioni, che ha come epicentro gli Stati Uniti e le cui scosse di assestamento sono arrivate anche in Europa. Questa tendenza è destinata a perdurare o ad essere ridimensionata dalla congiuntura economica in corso e dalla previsione di una recessione globale per il 2023? Daniel Pink, uno dei business thinker più influenti, ha rilasciato un’approfondita intervista al Corriere della Sera sugli scenari futuri, sui punti di svolta e i giri di boia che potrebbero verificarsi nel mondo lavorativo di qui ai prossimi anni.

La genesi delle Grandi Dimissioni

Secondo Pink le radici delle grandi dimissioni sono da ricercarsi nella pandemia, che ha fornito alle persone due anni per riflettere sul lavoro che stavano svolgendo. In molti hanno pensato che il (mal)trattamento ricevuto sul luogo del lavoro fosse iniquo, oltre che improduttivo. Anche la morte è stata una presenza costante che ha spinto molti a rivedere le proprie priorità, volendo trovare un nuovo equilibrio tra vita privata e lavoro.

C’è poi una ragione di tipo socio-economica: nel periodo dell’emergenza sanitaria il mercato del lavoro si è ristretto, facendo guadagnare ai lavoratori maggiore potere negoziale. La percezione si è rovesciata: le persone talentuose non sono più convinte di avere bisogno di un’azienda in cui affermarsi, ma al contrario sono le imprese a doversi attivare nel trovare i migliori talenti in circolazione.

Un fenomeno inarrestabile o solo temporaneo?

La tendenza ciclica del mercato del lavoro comporta periodi di disoccupazione in cui i vertici dei grandi gruppi ottengono un potere enorme e sono in grado dettare le regole contrattuali e di vita aziendale, dalla modalità di lavoro agli obiettivi da raggiungere. Al momento le domande aperte sono le seguenti: che tipo di lavoro vorremo fare insieme o da soli? Ha ancora senso l’ufficio in un mondo dove ormai è possibile lavorare da casa? Come gestire la propria vita personale senza annullarla del tutto? Probabilmente le risposte le avremo nei prossimi 12 mesi.

Il lavoro da remoto, in ogni caso, è un esperimento che non piace a tutte le aziende, anche quelle più avveniristiche guidate da grandi visionari (a questo proposito, il caso di Elon Musk è esemplare). Molte hanno obbligato i propri dipendenti a tornare in presenza. Secondo Pink si tratta di un errore colossale. “Non credo in un lavoro in cui le persone non vadano in ufficio – dice – ma nemmeno che torneremo a un mondo in cui i colletti bianchi stanno seduti nei cubicoli dieci ore al giorno per cinque giorni alla settimana davanti al loro pc. Il futuro è ibrido, anzi in futuro non lo chiameremo neppure ibrido, ma solo lavoro”

“The Power of Regret”, il sentimento ignorato

L’ultima pubblicazione di Daniel Pink si intitola “The Power of Regret”, tradotto il potere del rimpianto. Lo scrittore americano denuncia la superficialità con cui spesso si tratta questo sentimento. L’ostinazione a guardare sempre avanti e mai soffermarsi sul rimpianto è una caratteristica occidentale, diffusissima in America. Pink sottolinea l’importanza del rammaricarsi e di riflettere sulle cose passate, poiché questo ci rende persone migliori in grado di prendere in futuro decisioni migliori.

Mentre scriveva il libro, Pink ha avuto l’idea di creare un sito web (www.worldregretsurvey.com), in cui chiedeva a persone di tutto il mondo di condividere i loro rimpianti. Oggi il sito conta un database di 22.000 persone provenienti da 109 paesi. La ricerca ha prodotto quattro tendenze principali di rimpianti. La prima è la cosiddetta “foundation regret”, quell’insieme di decisioni che le persone hanno preso presto nella vita e che nel tempo hanno avuto conseguenze deleterie. La seconda macrocategoria è quella di chi non ha preso il treno di un’opportunità che non si è più ripresentata e se ne pentirà per il resto della propria esistenza. Il terzo tipo sono i rimpianti morali, di aver commesso azioni sbagliate, come l’aver imbrogliato, aver rubato, maltrattato qualcuno. Infine, ci sono i rimpianti dei legami affettivi, come quando si interrompe una relazione per imbarazzo o perché si pensi che all’altro non interessi.

Queste quattro propensioni generate dal rimpianto ci offrono la possibilità di mettere a fuoco ciò di cui le persone sono veramente alla ricerca.

Le persone vogliono un inizio stabile, un’opportunità di crescere e imparare, aspirano a fare la cosa giusta, ad essere buone, e, soprattutto, vogliono amore. Perciò questi rimpianti incompresi sono segnali di come potremmo costruire una vita migliore e, in termini di aziende, offrono ai top manager indicazioni su come impostare un’organizzazione migliore”.

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