Il ministro del lavoro Marina Calderone esprime una sincera preoccupazione per la situazione precaria di gran parte dei lavoratori, che potrebbe “diventare precarietà a vita”. Il rischio è più che reale, come ha tenuto a precisare durante il convegno sul Rapporto Inapp 2022 insieme al presidente dell’Isitituto Sebastiano Fadda, dal titolo “Lavoro e formazione: l’Italia di fronte alle sfide del futuro”.
Sette contratti su dieci attivati nel 2021 sono a tempo indeterminato. L’’11,3% dei lavoratori è per time-involontario, mentre la flessibilità buona che dovrebbe trasformare un contratto atipico in uno stabile entro 3 anni, è stata effettivamente applicata solo al 40% dei dipendenti. Ci sono poi i giovani NEET, acronimo di Not in Education, Employment or Training, ragazzi inattivi in crescita del 17%. Mentre i lavoratori poveri rappresentano il 10,8% del totale, complice anche la contrazione dei salari (-2%) che vede il nostro paese l’unico tra gli stati europei con segno negativo.
“Bisogna ripensare a nuove politiche del lavoro per posti di lavoro di qualità, lavoratori più competenti, percorsi di formazione specializzata, aziende più attive nel miglioramento dei propri lavoratori” afferma Fadda. Il ministro Calderone denuncia che “Stiamo sprecando risorse e tempo, bisogna incidere sulla formazione per accrescere competenze funzionali al mercato del lavoro e in parallelo si lavora per ridurre la distanza tra lavoratori e imprese”.
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Giovani Neet, primato negativo per l’Italia
I giovani tra i 15 e i 34 che attualmente non studiano né sono in cerca di lavoro erano nel 2020 pari a 3 milioni (1 milione e 700 mila donne).
Il fenomeno dei giovani Neet è più diffuso in Italia (25%) rispetto agli altri Paesi dell’Unione, la cui media è intorno al 15. Come sempre il contrasto tra regioni del sud, centro e Nord d’Italia segna percentuali più o meno marcate a seconda dell’area presa in considerazione. Nel Mezzogiorno i giovani inattivi sono il 39%, con punte del 40 in Sicilia e Calabria. Al centro si scende al 23, con il Lazio peggiore regione (25%), mentre nelle zone Est ed Ovest del Settentrione il fenomeno si assesta rispettivamente a 18 e 20 punti percentuali.
Resta molto alta la quota delle neet donne, che oltre alla precarietà devono scontrarsi con la barriera della disparità di genere, un problema ancora irrisolto nel mercato del lavoro. In particolare nel Meridione si registra una percentuale alta di ragazze madri. Lo studio dell’Inapp sottolinea, tuttavia, come “spesso l’inattività delle neet copre invece un’attività non remunerata all’interno delle mura domestiche, la maggior parte delle donne che non sta cercando lavoro ha carichi di cura”.
Neet, quattro tipologie di inattività
Il rapporto sullo status di lavoratori e giovani individua quattro forme principali di neet:
- Giovanissimi (15-18 anni) con istruzione molto bassa che hanno lasciato presto la scuola e sono sprovvisti di esperienza professionale
- La fascia 20-24 anni, anche questa con un’esperienza esigua, ma in possesso di un titolo d’istruzione superiore
- I ragazzi tra i 25 e i 29 anni che hanno perso in lavoro e che percepiscono il sussidio di disoccupazione o il reddito di cittadinanza
- Gli “scoraggiati” (questo è l’appellativo dato dal report), cioè disoccupati tra 30 e 34 anni con bassi livelli d’istruzione, composta in larga parte da donne residenti in piccoli centri urbani.
Nel complesso, il 42% dei neet ha un diploma di maturità, il 35 è in possesso della licenza media, e soltanto il 13,2 ha conseguito un titolo di laurea. Il dato allarmante è la generale rassegnazione di questa categoria, che ha gettato la spugna e interrotto la ricerca di lavoro. Solo il 20% pur non cercando un’occupazione si dice disponibile a lavorare. A incidere sulla demotivazione sono proprio i contratti precari, la perdita del lavoro o la messa in mobilità.
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