Stipendi in Italia bloccati da 30 anni: ecco l’analisi

In Italia gli stipendi sono rimasti bloccati negli ultimi tre decenni. Ecco la situazione lavorativa nel Bel Paese.

Gli stipendi in Italia si trovano in una stasi, registrando un incremento del solo 1% negli ultimi 30 anni, dal 1991 al 2022, in netto contrasto con la media del 32,5% nell’area Ocse. Questo dato indica un fallimento della contrattazione collettiva e è associato a una crescita della produttività superiore rispetto agli aumenti salariali durante lo stesso periodo. Il risultato evidente è una costante diminuzione della quota dei salari rispetto al PIL, a favore dell’incremento del peso dei profitti, che ora rappresentano il 60% rispetto al 40% dei salari. Questi dati allarmanti sono stati messi in luce da un rapporto dell’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, presentato presso la Camera dei Deputati.

I problemi del mercato del lavoro

Dopo lo stop causato dalla pandemia, il mercato del lavoro ha ripreso a crescere, tuttavia il percorso intrapreso è caratterizzato da numerosi ostacoli dovuti a criticità strutturali persistenti fino ad oggi. Tra questi fattori problematici si evidenziano:

  • Bassi salari, i livelli retributivi sono rimasti contenuti, rappresentando un elemento critico per il mercato del lavoro.
  • Scarsa produttività, la mancanza di un adeguato aumento della produttività contribuisce a ostacolare la crescita sostenibile del mercato del lavoro.
  • Poca formazione, la carenza di opportunità formative limita le competenze della forza lavoro, influenzando negativamente la sua adattabilità e produttività.
  • Welfare inadeguato, il sistema di protezione sociale non è in grado di fornire una copertura adeguata a tutti i lavoratori. In particolare, i 4 milioni di lavoratori non standard e gli autonomi si trovano senza un supporto sicuro.

Il mercato del lavoro è ancora fortemente influenzato dal fenomeno noto come “labour shortage”, con molte imprese che faticano a occupare le posizioni vacanti. La discrepanza tra domanda e offerta si sta ampliando, creando ulteriori sfide.

Questi temi sono affrontati nel rapporto Inapp 2023, che dedica parte della sua analisi anche alla stagnazione degli stipendi, persistente per troppo tempo.

In Italia stipendi fermi da tre decenni

Indubbiamente, uno dei principali nodi critici del mercato del lavoro riguarda la stagnazione degli stipendi, rimasti pressoché immutati nel corso di tre decenni. Nel periodo compreso tra il 1991 e il 2022, i salari reali hanno registrato una crescita appena del 1%, a fronte del 32,5% degli altri paesi dell’area Ocse.

Un’analisi più dettagliata, concentrando l’attenzione sul solo anno 2020, il terzo anno della pandemia da Covid-19, rivela una contrazione reale degli stipendi del 4,8%. Inoltre, nel corso dello stesso anno, si è verificata la più ampia differenza rispetto alla crescita dell’area Ocse, con un -33,6%.

Oltre alla questione degli stipendi, un ulteriore problema identificato riguarda la scarsa produttività. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la crescita della produttività in Italia è rimasta inferiore rispetto agli altri paesi del G7.

Nel corso del 2021, il divario ha raggiunto il suo apice, attestandosi al 25,5%. Questi elementi contribuiscono a delineare un quadro complessivo in cui il mercato del lavoro italiano affronta sfide significative legate alla retribuzione e alla produttività.

Le dichiarazioni del presidente dell’Inapp

Il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, ha sottolineato che la questione salariale è stata perfino aggravata nell’ultimo triennio dall’incidere dell’inflazione. I salari reali sono addirittura calati rispetto al 2020, a fronte di incrementi sostanziali negli altri Paesi. Secondo Fadda potrebbe essere “utile in questo contesto l’introduzione del salario minimo legale”.

Leggi anche: Serenità sul luogo di lavoro, quanto è importante per la produttività

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