Allusioni sessuali sul posto di lavoro: arriva il licenziamento

Licenziamento per allusioni sessuali sul posto di lavoro, respinto il ricorso dell'uomo. Ecco cos'è successo e cosa cambia ora.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un dipendente licenziato per allusioni sessuali sul posto di lavoro. Un piccolo passo in avanti nei confronti dei licenziamenti legittimi, ecco cos’è successo.

Il caso del licenziamento per allusioni sessuali

Tutto inizia con il licenziamento, prosegue con il ricorso e finisce con la respinta in Corte di Cassazione. Il lavoratore reo di “aver tenuto comportamenti consistenti in molestie sessuali ai danni di una giovane collega neoassunta con contratto a termine e assegnata a mansioni di addetta al banco bar”, non riavrà il suo posto di lavoro.

La donna lo aveva denunciato alla direzione aziendale non una, ma ben due volte. La causa di tutto sarebbero state le allusioni sessuali, sia verbali che fisiche, che ella ha dovuto subire. Prima il licenziamento e poi la conferma dei giudici, che l’hanno considerato “per giusta causa”.

La difesa del lavoratore licenziato

Il dipendente licenziato ha provato a difendersi, sostenendo l’inattendibilità della donna. In passato il Gip aveva archiviato una sua precedente denuncia per stalking e violenze sessuali, e dunque il lavoratore ha provato a seguire questa pista.

La Corte però ha deciso di tenere in considerazione altro della questione, sostenendo che “il reato di stalking era estraneo ai fatti di causa e alle ragioni del licenziamento”. Di conseguenza nessun reintegro in azienda e posto di lavoro perso.

Cosa dice la legge

Il licenziamento per comportamenti di molestia sessuale sul luogo di lavoro è una questione che ha ricevuto attenzione sia dalla giurisprudenza italiana che dalle direttive europee sulla tutela dei diritti dei lavoratori.

Secondo la Cassazione, non solo le aggressioni fisiche, ma anche tutti i comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, verbali o non verbali, che violano la dignità del lavoratore e creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo sono considerati come molestie sessuali.

Questo significa che il datore di lavoro è tenuto a garantire un ambiente di lavoro sicuro e a tutelare i suoi dipendenti. Le molestie sessuali, inclusi anche i commenti o le allusioni a sfondo sessuale, possono ledere la dignità delle vittime e disturbare il clima lavorativo. Pertanto, il licenziamento di chi si rende responsabile di simili azioni è ritenuto legittimo.

La disciplina delle molestie sessuali sul luogo di lavoro è regolamentata anche dalla Direttiva europea 2002/73/CE, che sottolinea l’importanza di combattere le discriminazioni fondate sul sesso. La direttiva afferma che chiunque leda la dignità, la reputazione e la sicurezza dei colleghi può essere oggetto di licenziamento.

È fondamentale che i datori di lavoro adottino politiche aziendali chiare e rigorose per prevenire e affrontare le molestie sessuali sul luogo di lavoro. Queste politiche devono garantire la tutela dei diritti dei lavoratori e prevedere sanzioni adeguate per chi si rende responsabile di tali comportamenti.

L’importanza della sentenza

La sentenza della Corte di Cassazione non è solo importante per il caso in questione, ma anche per tutti quelli che capiteranno in futuro. Una presa di posizione decisa che aiuterà di certo i giudici a valutare i prossimi casi che arriveranno alla loro attenzione.

Le allusioni sessuali devono rimanere fuori dai luoghi di lavoro, e questo è ormai chiaro a tutti da anni. Un conto è però la teoria, un altro è la pratica, la speranza è che queste spiacevoli vicende diventino via via sempre meno.

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