Lavoro femminile: oltre 7 milioni di donne ‘inattive’ in Italia

L'indagine di Randstad Research dichiara che le donne inattive in Italia sono oltre 7 milioni e rappresentano il 43% nella fascia dai 30-69 anni. Un dato molto preoccupante da non sottovalutare
donne inattive

L’indagine di Randstad Research dichiara che le donne inattive in Italia sono oltre 7 milioni e rappresentano il 43% nella fascia dai 30-69 anni. Il tasso di inattività risulta fermo dal 1990. La situazione è fortemente accentuata nel Meridione con solo il 41% di donne attive.

Donne inattive: troppe rispetto alla media europea

Troppe donne inattive rispetto alla media europea. In italia sono oltre 7 milioni e rappresentano il 43% delle donne nella fascia d’età tra i 30 e i 69 anni. Un numero non paragonabile nella media Ue dove le donne inoccupate o alla ricerca di un impiego sono il 32%, in Germania il 24% e in Svezia il 19%

Viene definito “un fenomeno apparentemente immutabile”. Il tasso di attività è rimasto fermo dal 1990 ad oggi e colpisce soprattutto il Sud e le isole, dove più della metà delle donne (il 58%) non lavora, con una stima di 3 su dieci nel Settentrione.

Nella fascia di età 30-69 anni le donne inattive sono per la maggioranza casalinghe a tempo pieno (4,5 milioni), per scelta o “obbligate”, come conseguenza di scoraggiamento per le barriere all’ingresso e al reingresso nel mercato del lavoro. E poi pensionate (2,5 milioni, tra pensioni di anzianità, sociali e di invalidità), con una prospettiva della terza età più incerta degli uomini, a causa di pensioni inferiori, raggiunte in età più giovane. Il tasso di inattività femminile è fortemente legato all’età: dal 70,6% delle donne attive tra i 35 e i 44 anni si scende al 47,4% tra i 55 e i 64 anni.

Quali soluzioni adottare?

L’investimento da 4,6 miliardi di euro previsto dal PNRR per aumentare di quasi 265 mila posti i servizi della prima infanzia è una soluzione efficiente.

Servirebbe distribuire al meglio i congedi parentali e avere un sistema fiscale che non penalizzi il lavoro del secondo lavoratore della famiglia. L’uguaglianza di genere nella cura dei bambini può essere promossa attraverso il diritto individuale a un congedo non trasferibile, ben remunerato e di uguale durata per donne e uomini.

Da non sottovalutare la formazione, anche perché per le donne il livello di istruzione paia avere un’importanza elevata rispetto agli uomini.

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